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Coronavirus: cambiamenti in atto e strategie per capire e gestire lo stress

È della sera del 9 marzo la notizia dell’estensione dell’area protetta a tutto il territorio nazionale come misura di contenimento per la diffusione del Coronavirus COVID-19. 

Per un popolo abituato al contatto fisico, ad una socialità che ci rende famosi nel mondo, doversi forzare alla distanza, cambiare il modo di salutare, lavorare e di vivere la quotidianità non è da sottovalutare. Ciononostante, è ormai ordinanza ministeriale “dover cambiare stile di vita”. 

La resistenza al cambiamento è un atteggiamento tipico che si mette in contrapposizione con l’evoluzione umana: se da un lato il cambio è necessario e l’adattamento della specie è il fattore che più determina le capacità di sopravvivenza, la tendenza a voler riprodurre gli stessi schemi è specchio di processi cognitivi che permettono al cervello di  risparmiare enormi quantità di energia e di andare avanti con relativa facilità. 

Trattandosi poi di un fenomeno tanto complesso, è facile cadere nelle teorie complottistiche o credere alle "fake news", complice la tendenza dei media italiani a cavalcare l’onda dei tormentoni; diventa difficile districarsi dal panico collettivo e restare calmi, specialmente ora che in qualche modo, tutti stiamo vivendo le conseguenze delle misure restrittive.

Come ricordato da Ulrich Beck nel suo testo "La società del rischio" (1986), il processo di modernizzazione della società porta con sé un aumento di rischio generalizzato: le casualità, ovvero, generate dalla modernità stessa portano a problematiche che: 

  • Trascendono le frontiere
  • Sono difficilmente riconoscibili 
  • Sono sistemiche

Tale sistema, se da una parte ha ripercussioni altamente positive come la democratizzazione della scienza e l’accesso alla tecnologia, dall’altra produce fenomeni come quello del Coronavirus, la cui diffusione può definirsi come una delle conseguenze (indesiderate) della globalizzazione e del capitalismo. Così come beni, merci e persone possono muoversi ovunque nel mondo nel giro di poche ore, un virus altamente contagioso è in grado di propagarsi in tempi che erano, fino a qualche decennio fa, impensabili.

Tali rischi producono un senso diverso del tempo e dello spazio , dell’uso della “cosa pubblica” e dell’accesso ai servizi, provocando un questionamento profondo sul tipo di società nella quale viviamo. 

Chi per un volo cancellato, chi per i figli a casa, chiunque si trovi in Italia ormai sta rivedendo i suoi piani. Stiamo assistendo a cambiamenti radicali in quella che era la quotidianità e la sicurezza di “casa”, le fondamenta delle grandi istituzioni e dei sistemi pubblici che mandano avanti il paese, così abituate a muoversi lentamente e con tempi lunghissimi, subiscono oggi contrazioni improvvise, rispondendo alle emergenze come possono. 

Molto di ciò che accadrà, d’altra parte, dipenderà anche dal comune cittadino e dalla sua capacità di seguire regole e divieti. È una lotta, più che contro il virus, contro la grande difficoltà dell’essere umano a rispondere al cambiamento, ad accettare che certe abitudini vanno sospese per il bene di tutti. 

In questo clima difficile, è dunque utile condividere alcune raccomandazioni che, sommate alle misure precauzionali fornite dagli esperti, si concentrano sul benessere psichico:

  • Mantenere un’alimentazione sana e cercare di mangiare frutta e verdure fresche, dormire e fare attività fisica;
  • Curare le relazioni anche a distanza, cercando di utilizzare la tecnologia in modo positivo, per sentirsi vicino ai propri cari anche in situazioni di isolamento;
  • Evitare il consumo di alcol o altre sostanze per la gestione delle emozioni;
  • Limitare il “consumo” eccessivo di notizie sul virus;
  • Restare informati e seguire le fonti ufficiali per comprendere la propria situazione di rischio (Ministero della Sanità, siti governativi, ASL ecc.);
  • Mantenere o creare routine che contribuiscano ad una stabilità emotiva;
  • In caso di sentimento di sopraffazione e difficoltà a gestire le emozioni, non esitare a contattare un medico o uno psicologo
  • Manifestare la vicinanza verso le categorie più fragili, che possono vivere la situazione attuale con particolare angoscia.

Fino ad oggi siamo stati fortunati a non aver mai dovuto adottare simili precauzioni nelle nostre vite. A non aver dovuto temere per la salute stando in un luogo pubblico, a non aver avuto il pensiero di scappare per un rischio silenzioso e invisibile e così difficile da combattere. Siamo nel panico perché la situazione è grave, ma anche perché nei paesi europei la soglia di sicurezza della vita “normale” è tra le più alte nel mondo. In Messico una donna rischia molto più il femminicidio che il Coronavirus, così come in Siria o ai confini della nostra Fortezza Europa i rischi sono ben altri. 

La scossa all'intorpidimento collettivo è grande e forse possiamo sperare che quando tutto sarà finito, restino racconti epici di storie d’amore, amicizie ritrovate dopo anni di silenzio, solidarietà tra estranei e una grande lezione di umanità per chi vive in terre sicure - che sicure non sono più, niente lo è- di saper guardare oltre la propria situazione e sentirsi parte della collettività, una collettività allarga lo sguardo e che comprende il mondo intero.

 

                                                                                                                                                                                                                             Valeria Giannuzzi 

 

*Psy+ Onlus è un’organizzazione che si occupa di rendere la psicologia accessibile a tutti. Per informazioni su trattamenti e accesso a percorsi di sostegno, contattare il numero verde 800.91.04.89 o visitare la sezione del Centro di Consulenza Clinica Psicologica del nostro sito.

 

Riferimenti 

 

*Note sull'autrice: Valeria Giannuzzi è Psicologa Clinica e Dottore di Ricerca in Scienze Sociali con Specializzazione in Studi Migratori. E' tra i soci fondatori di Psy+ Onlus, con la quale attualmente collabora a distanza. Vive a Londra e si occupa di integrazione dei migranti internazionali. La sua ultima ricerca con la comunità bangladese è incentrata sul progetto migratorio e le strategie di integrazione nei contesti di Roma e Londra.

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